Testimonianza di amici

Trova nella debolezza la forza del Signore e lascia che sia Lui a donarti la Sua gioia. Cerca il Suo sorriso anche nel tuo pianto e aprì la tua anima ad accogliere il Suo amore. Perché Dio non ha dubbi e ti cerca in ogni istante, per amarti con dolcezza e indicarti la Sua via!

MARCELLO
LE IMPRONTE DI GESÙ NEL CAMMINO DELLA VITA

Marcello si trova sulla sua barca a vela. È una giornata stupenda da trascorrere felicemente a bordo della sua passione e sulle onde di quel mare che ama profondamente. Ma il dolore bussa alla sua porta: un aneurisma prende a sanguinare nel suo cervello e dalla vita si passa al coma, in un attimo che ti cambia definitivamente. Marcello viene trasportato immediatamente all’ospedale e sottoposto ad un intervento d’urgenza per tamponare l’emorragia. Subito dopo è ricoverato nel reparto di rianimazione ed è proprio lì che lo incontro. È un giovane forte ma, vederlo in quel letto, completamente privo di sensi, a mantenersi in equilibrio fra la vita e la morte, è immagine chiara della fragilità umana e di come, da un momento all’altro, ci si possa trovare soltanto in corsa verso il cielo.

La situazione di Marcello è disperata, ne sono consapevole, e i medici non usano mezzi termini. La sua ripresa appare impossibile e le sue condizioni sembrano soltanto precipitare. Non ho parole, ma soltanto una stretta al cuore. Ma proprio adesso la fede si fa strada, perché ciò che per l’uomo è impossibile, Dio può compierlo senz’alcuna fatica. La fede è fondamento di ciò che sì spera e prova di ciò che non si vede (Eb 11,1)… lo so e ogni giorno lo posso sperimentare proprio fra le corsie di questo stesso ospedale. Mi avvicino dunque a lui e, fra i rumori dei tanti macchinari che lo circondano, gli amministro il sacramento dell’unzione degli infermi: per questa santa unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore… La formula è pronunciata e il mio cuore ripete: Misericordia mio Dio, misericordia ti chiedo per questo giovane che dipende soltanto da Te!

La mia esperienza di cappellano mi fa temere il peggio. Mi sono trovato diverse volte in queste circostanze e poche volte il parere dei medici si è rivelato sbagliato. Continuo certo a confidare in quel Padre che, sono sicuro, non ci abbandona mai, ma sono anche preparato ad accompagnare Marcello incontro alla morte.

È un sabato, e lo ricordo come fosse ieri: è quasi ora di celebrare la Santa Messa ed una donna, gracilina, mesta e con le lacrime agli occhi, si avvicina a me. Ha una Croce di legno appesa al collo e, a tratti, la stringe forte fra le mani. Entra in sagrestia, li dove mi trovo, e con tono dimesso mi chiede: Lei è il cappellano dell’ospedale? La guardo e le rispondo Si, sono io, come posso aiutarla? Lei mi fissa negli occhi e mi dice: preghi per mio marito Marcello, la supplico, non so più cosa fare! Mi dica lei… cosa possa fare? Sono senza parole. Cosa posso dirle? Penso dentro di me! Suo marito è in fin di vita ed io certo non ho strumenti per consolare il suo dolore. Ma non posso tacere, perché proprio adesso deve passare, attraverso di me, la presenza di Dio. Perché quella donna cercava Dio ed era a Lui che domandava misericordia!! Un istante dopo fu proprio Lui a suggerirmi le parole da usare: Si abbandoni a Dio…le dissi… e, come insegna Santa Teresa dì Gesù bambino, sia, con Lui, come un bimbo che ricorre al Padre, come un piccolo che Gli corre incontro, come un figlio che Gli tende le braccia e chiede a Lui, con le lacrime e con il cuore sincero, che venga incontro al suo dolore, lo custodisca nel Suo cuore e, secondo la Sua volontà, lo tenga stretto a Sé. Non tema nulla… soltanto si abbandoni. Quella donna, che presto saprò chiamarsi Francesca, mi ascolta attentamente, fa tesoro di queste parole, asciuga via le lacrime, esce dalla sagrestia, e, in ginocchio, ai piedi di un banco della cappella, invoca Gesù con tutte le sue forze.

La situazione di Marcello non migliora. La sera è sottoposto ad una seconda tac di controllo, per appurare se l’emorragia è bloccata. Al momento del colloquio, il medico di turno è sincero con Francesca: mi dispiace signora, ma la seconda tac è sovrapponibile alla prima. Non ci sono miglioramenti e non possiamo fare più nulla. Possiamo soltanto aspettare… sì prepari al peggio.

Ma intanto la fede di Francesca diventa più forte di ogni timore e, con fare sicuro, gli risponde: va bene dottore, fino a questo momento avete agito voi… adesso agirà il mio Dio. Esce dalla stanza senza dire o ascoltare niente altro! Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da Lui proviene la mia speranza, (Sal 62,5). Il medico comprende la sua disperazione ma rimane fermo negli insegnamenti della sua scienza. Passa poco tempo e, per quanto sia difficile crederlo, l’azione di Dio si fa davvero vedere nella storia di Marcello che prende a svegliarsi dal coma, al di là di ogni aspettativa umana. L’emorragia si arresta lentamente e Marcello si riprende sempre di più, giorno dopo giorno. Esce presto dalla rianimazione. È in discrete condizioni ma ciò che davvero conta è che lui sia VIVO, capace di comprendere, capace di amare, capace di parlare e di agire, capace di tornare fra quanti lo amano e al fianco di sua moglie che, nella prova non ha vacillato, ricevendo da Dio una risposta di amore infinito e di grazia meravigliosa! Certamente Marcello ha ancora bisogno di tempo e la riabilitazione è lunga e faticosa ma lui non si perde d’animo: proprio come un bimbo, ricomincia ad imparare tutte quelle cose (camminare, muoversi) che a noi sembrano così facili. Saranno giorni difficili ma la vita torna a risplendere in lui e il sorriso torna ad illuminare il suo viso. Dio ha preso in braccio Marcello e Francesca e la loro fede li ha resi sicuri e forti nella durezza di una prova che non sembrava lasciate scampo.

La storia non finisce ancora: Marcello torna a casa e, insieme con Francesca, ritrova la gioia più grande, quella che era stata frantumata da un dolore che li aveva messi in ginocchio, quella che è fatta di piccole grandi cose e della stessa quotidianità di una vita semplice ma impregnata dell’amore di Dio. Nel corso del tempo, la fede diventa un gancio ancora più forte per Francesca che vive, in pienezza, quelle parole che Dio le aveva rivolto attraverso di me.

La corona di questa famiglia arriverà, infine, di lì a poco: Francesca partorirà uno splendido figlio, Massimo; un figlio atteso, amato, cercato, voluto, per una coppia, che guidata e seguita da Dio, ha infine concepito questo frutto del Suo stesso Amore e della Sua stessa tenerezza.

Nulla è impossibile per chi, con fiducia, si abbandona a Dio, riuscendo, così, a leggere l’impronta della Sua mano nella vita di ogni giorno!!!

Nel Dolore …il Suo infinito Amore

 Piccole storie di miracoli d’ Amore di Don Gianni Mattia

Emiliano:

“IL GIORNO CHE CAMBIO’ LA MIA VITA”

“Era il 12/12/1994, quando con una mia amica in motorino abbiamo subito un incidente, riportando gravi lesioni che, con la voglia di vivere siamo riusciti a superare, sia accettando le difficoltà che si presentano ogni giorno sia impegnandoci ad affrontare la vita nel migliore dei modi.

Grazie a questa disavventura, ho scoperto di essere diventato una persona positiva, perchè grazie agli stimoli riesco ad essere forte e coraggioso.

Sono stato in America con l’obiettivo di fare una visita medica, i dottori hanno detto che solo con la buona volontà e pregando molto, otteniamo quello che ci prefiggiamo.

Da 11 anni vado a Lourdes a settembre e ogni anno è sempre più bello, sia perché conosco persone stupende che mi regalano tanto del proprio cuore, sia perché il posto offre un’accoglienza indescrivibile ad esempio: il volto delle persone che sono sempre sorridenti ed emanano un calore speciale.

A tutte le persone che come me, hanno sofferto molto, dico di non guardare mai indietro, ma di vedere solo avanti perchè la vita è bella”… Emiliano

==============================

Francesco:

“Oltre ad avere ricevuto una lezione di vita, in questo viaggio mi sento da tramite , sono stato gli occhi di tante persone che potranno “vivere” attraverso le mie immagini e raccontarsi ad una realtà diversa. Come da mia abitudine ho fotografato tutto ciò che attraversava il mio campo visivo dal particolare al paesaggio, ad uno sguardo che interroga. Ecco io ho cercato di parlare attraverso queste foto. Forse l’unico incontro non raccontato con la macchina fotografica, è stato quello di un bambino a cui ho dato una caramella e i suoi occhi erano quelli della debolezza fisica e spirituale, molto denutrito, deperito. Beh non ho avuto il coraggio di immortalare quel momento così delicato che mi ha fatto scoppiare in un pianto che partiva dal cuore”.

Francesco Corrado

==============================

Antonella e Marilena:

“DIO E’ FEDELE” – LA CORONCINA DELLA DIVINA MISERICORDIA

“Siamo due sorelle nella vita e nella fede, Antonella e Marilena, abitiamo a Taranto e scriviamo questa lettera perchè desideriamo raccontare e testimoniare la grandezza di Dio che si è manifestata con potenza in una nostra forte esperienza. Era il 15 Aprile dell’anno in corso, nel palazzo dove abitiamo sentimmo che una signora di nome Serafina abitante all’ultimo piano stava per morire. Insieme decidemmo di recarci a casa della Sig.ra agonizzante per recitare la Coroncina della Divina Misericordia, e proprio quel giorno e cioè il 15 Aprile 2007, 1 ^ domenica dopo Pasqua, ricorreva la Festa della Divina Misericordia, istituita da Giovanni Paolo II. Giunti a casa della Signora Serafina, la trovammo nel letto e con gli occhi chiusi si agitava e si dimenava girando la testa da una parte all’altra, con la mano sembrava volesse afferrare qualcosa nel vuoto in cerca di aiuto e con affanno gridava con profonda disperazione. Con noi nella stanza vi erano le figlie, spiegammo loro la recita della Coroncina della Divina Misericordia e le esortammo a pregare con noi per la madre.

Prima di iniziare la Coroncina invocammo lo Spirito Santo perchè scendesse su di noi e affinchè guidasse la nostra preghiera così incominciammo e piano piano, durante la recita della Coroncina vedemmo improvvisamente la Sig.ra Serafina calmarsi, non si agitava più, non gridava e sbadigliava come se avesse solo sonno. E così continuò fino ad addormentarsi in un sonno sereno. Terminata la recita della Coroncina andammo via e l’indomani ci giunse la notizia che la Sig.ra era morta. Ritornammo a casa della defunta. Le figlie ci raccontarono che la sera precedente, dopo che io e mia sorella eravamo andate via a seguito della recita della Coroncina, la Sig.ra Serafina, dormì tranquilla per ore, poi svegliatasi, chiese di mangiare uno yogurt e la cosa per le figlie rappresentava un miracolo, se solo si pensa che la Sig.ra Serafina non ingoiava più cibo ormai da 2 mesi! Dopo aver mangiato lo yogurt, sempre serenamente si addormentò e dopo 9 ore circa concluse la sua vita terrena per raggiungere la casa del Signore. Questa esperienza vissuta ci fa comprendere la grandezza di Dio ed è la conferma delle promesse fatte da Gesù a Suor Faustina; Gesù disse a Suor Faustina, infatti, che se la Coroncina della Divina della Misericordia fosse stata recitata accanto agli agonizzanti in fin di vita, Egli non sarebbe stato più Giusto Giudice ma Salvatore Misericordioso. Non dimenticheremo mai l’immagine della Sig.ra Serafina e la sua repentina trasformazione durante la recita della Coroncina, che da uno stato di disperazione e agitazione è passata in un evidente stato di pace ma non potremo soprattutto dimenticare nè tacere la potenza e la misericordia di Dio che in ogni attimo della nostra vita, anche l’ultimo, ci perdona, ci difende, ci consola ci dà pace e ci accoglie nelle sue braccia.”

Antonella e Marilena

==============================

Daniela:

“PIETA’ E TENEREZZA E’ IL SIGNORE (Salmo110)

…..DANIELA UNA TRA LE SUE CREATURE PREDILETTE” La mamma Antonietta

==============================

Anna:

“Anna ha dieci anni, nata prematura con una ciste al polmone. Le crisi respiratorie hanno danneggiato il cervello. Il quoziente intellettivo è di una bimba di un anno e mezzo, c’è un grave ritardo mentale. Ha cominciato a camminare l’otto settembre del 2000 per una grazia della Madonna, prima non camminava. Da allora mi affido a Maria e le sofferenze sono minori. Anna la accetto con serenità e tranquillità, perchè vivo giorno per giorno la mia vita insieme con lei. Senza fede non riuscirei ad accettare questa situazione. Anna con il suo sguardo e il suo sorriso mi rasserena e mi da la forza di andare avanti. Anch’io sono malata, Dio e mia figlia mi danno la forza di continuare. Nei momenti di sconforto penso al futuro mio e di mia figlia, la società non mi da sicurezze. Lotto sempre e continuerò a lottare per il bene di mia figlia. Non c’è la sensibilità per questo tipo di problema. Ma per me non è un problema: per me mia figlia è tutto, è l’immenso, è il dono più bello che mi ha dato Gesù. Vedo in mia figlia Gesù in croce che sopporta le sofferenze. Quando si ha in casa una persona disabile bisogna accettarla dal primo momento, però non tutti l’accettano e così si perde la fede e la fiducia, il coraggio di andare avanti. Invece è solo la fede e la fiducia in Dio che aiutano a portare avanti la situazione”.

La mamma Maria.

==============================

Elena:

Il ricordo di Elena.

di Maddalena Marotta.

 

Mi chiamo Maddelena Marotta, ma sin da piccola mi chiamano Elena ho ventisei anni e vivo a Pagani in provincia di Salerno. Oggi voglio palesare a tutti tramite la mia testimonianza la “grandezza del Signore” e raccontarvi il percorso della mia vita segnata dal dolore e dalla sofferenza: la mia è una sofferenza che ha lasciato la sua traccia sia nel cuore che nel fisico. Oggi che vi racconto questo mio ricordo, vi posso dire che la mia fortuna è quella di essere circondata da tanto amore offertomi dai miei cari genitori che sono persone meravigliose e dal mio caro Alfredo con il quale ho un amore che si rafforza sempre più da ben otto anni. La mia fortuna è a trecentosessanta gradi anche perché, ho tanti parenti e amici che mi vogliono un mondo di bene e che ogni giorno mi fanno sentire tutto il loro amore per me. Il “ricordo” di cui parlo si riferisce a una mattina del 6 maggio del 2002 quando dopo essermi svegliata, mi accorsi di avere dei lividi su una gamba. In quel momento non ho dato molto peso a quello che avevo appena visto, pensai che durante la notte avessi urtato con la gamba contro qualcosa. Però poi ripensandoci preferii raccontare tutto a mia mamma, la quale immediatamente diede notizia anche a papà. Da quel momento nella mia vita entrò una nuova parola “ospedale”. Difatti fui subito ricoverata, e dopo un’attenta visita e il primo dei tanti prelievi di sangue arrivò l’esito: si supponeva una situazione molto critica, infatti dopo dieci giorni di ricovero approfondendo le indagini ematologiche mi diagnosticarono una malattia molto rara denominata Anemia Aplastica Grave. I miei cari genitori, sentito l’esito doloroso datogli dal dottore, preferirono che io venissi portata in un centro all’ avanguardia e così fui ricoverata al Centro Oncoematologico del Policlinico San Matteo di Pavia. Anche quì la mano del Signore mostrò la sua grandezza, infatti fui curata e assistita dal prof. Franco Locatelli, uomo dalle grandi capacità mediche e umane, che fa dell’umiltà il suo pane quotidiano regalando speranze e sorrisi a noi persone che soffriamo quotidianamente. La mia vita era da un giorno all’altro cambiata, infatti ero stata ricoverata, in una camera sterile, dove c’erano due lettini uno per me e uno per mia mamma. Per ben due mesi la camera sterile offriva flebo, trasfusioni di sangue, piastrine, ossigeno e morfina ed io ero paralizzata nel letto senza potermi muovermi, la situazione ematologica non migliorava affatto, anzi accadeva il contrario: il prof. Locatelli chiamò i miei genitori e disse loro che mi restavano pochi giorni da vivere. Dinnanzi a questa drammatica realtà i miei cari si sentirono distrutti dal dolore, non riuscivano a capacitarsi di quello che mi stava accadendo e quindi si sentirono lasciati soli nel loro dolore, avevano il cuore spezzato a metà e come conseguenza non chiedevano aiuto al Signore, ma da Lui si allontanavano. Ma in una realtà così dolorosa un giorno apparve un pò di luce: avevo avuto la possibilità di conoscere Claudia, si era proprio la Claudia della fiction “Linda e il brigadiere”. Claudia si trovava al Policlinico perchè la sua mamma aveva subito un intervento chirurgico al cuore e aveva avuto notizia di me tramite la mamma di Alfonso (un bambino che era ricoverato accanto alla mia stanza) e così un pomeriggio mentre stavo molto male, perchè avevo problemi respiratori, Claudia con la mascherina alla bocca entrò nel mio mondo di sofferenza. Portava sulle dita un rosario di legno che aveva preso nella cappella dell’ospedale, nella sua semplicità lo tolse dalle sue dita e me lo regalò dicendomi:” Elena, fai quello che puoi, prega la Madonna”. Poi insieme a mia madre andarono nella cappella dell’ospedale e davanti alla statua della Madonna si inginocchiarono e pregarono per me. Dopo pochi giorni, una mattina entrò nella mia camera il prof. Locatelli e mi disse: ”Avevamo fatto il possibile per aiutarti ma non c’era più nulla da fare, oggi il Signore ti vuole ancora qua”. Dopo ben cinque anni lotto ancora contro la mia malattia, ma in modo diverso con serenità, amore e coraggio, offrendo amore al Signore e alle persone che soffrono. Tra me e Claudia è nata una bellissima amicizia, ed io oggi non solo voglio ringraziarla per tutto ciò che ha fatto per me e per i miei genitori, ma voglio ringraziarla perché in un momento di dolore della mia vita mi ha aiutata a capire che il male, il dolore e la sofferenza si sconfiggono solo con la preghiera. Però non si deve pregare tanto per pregare, ma pregare con amore, con fede aprendo il nostro cuore al Signore, e solo così il dolore e la sofferenza diventeranno non un peso ma qualcosa di sopportabile e lieve. Voglio lanciare un messaggio dicendo che la vita è meravigliosa soprattutto se si incontrano persone meravigliose come Claudia che riempiono il cuore di gioia e di felicità a persone che soffrono, e voglio sottolineare l’importanza che oggi ha per me la preghiera, unico strumento per alleviare il dolore e il baratro dell’angoscia. Grazie Signore, grazie Claudia

Elena

==============================

Suor Immacolata Ghidoli:

“PERLE PREZIOSE”

Di Suor Immacolata Ghidoli

Religiosa del Cottolengo di Torino.

La chiamata è un progetto di amore fondato sulla preghiera e sulla fede. Quindi, nella vita quotidiana, è necessario creare spazi di silenzio e di preghiera.

La preghiera del cuore, di Gesù, la preghiera interiore e continua che mi porta ad avere sempre lo sguardo e il pensiero al Signore; aiutandomi con le giaculatorie, ricordandomi che sono alla presenza di Dio, scambiando le riflessioni della meditazione e anche impegnandomi a scoprire e a gioire della positività delle sorelle e delle cose belle che riescono fare e che mi stanno attorno. Personalmente mi aiuta molto la contemplazione della natura, mi avvicina a Dio… e la mia preghiera si fa lode e rendimento di grazie.

Alla radice di ogni pensiero, di ogni azione,di ogni decisione… ci deve essere Gesù, ci deve essere il Vangelo, la Parola è da lì che attingo la fede e la forza di amare e di perdonare come Dio mi ama e mi perdona. Ho bisogno di Misericordia, mi faccio misericordia. è la Parola che fin dal mattino mi dice e mi indica la strada dell’amore e della santità. La santità che è la condizione necessaria per la sopravvivenza delle nostre comunità. una santità feriale, semplice, che testimonia il Vangelo nella quotidianità, nel servizio ai più deboli, nell’ accoglienza umile e fraterna tra di noi…. ” da come vi amate capiranno…” Gesù ci insegna ad essere servi umili “ci ha dato esempio, lavando i piedi ai suoi apostoli…”

Racconterò la mia piccola storia inserita in una più grande ed infinitamente più bella, che è la storia della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Sono, per grazia di Dio, una suora del Cottolengo da 40 anni ormai. Deo gratias!

Da circa 30 anni sono al servizio diretto delle nostre “perle preziose”, come le chiamava il nostro santo Fondatore: condivido il mio vivere quotidiano con persone con difficoltà fisiche e mentali. Sono veramente “perle preziose” poiché sono umili e povere, ed anche semplici a ingenue, capaci di toccarti nel profondo del cuore e provocare in te riflessioni che ti conducono a riconsiderare e a volte perfino a cambiare la direzione della vita stessa! Frequentemente sperimento su di me e su chi condivide con me questo santo servizio-donazione effetti soprannaturali di conversione, perchè di fronte al loro sguardo puro e profondo si sperimenta la presenza di Dio. “Ricordiamo che siamo alla presenza di Dio”, diceva S. Giuseppe B. Cottolengo.

Ho al mio fianco uno splendido sorriso, è Maria, che da anni si trova prostrata nella sua sedia a rotelle, incapace di stendere le sue braccia, con i suoi piedi immobili, bisognosa di tutto… però il suo incantevole sguardo parla e ti accarezzano i suoi occhi di velluto. Guarda e sorride, si ritorce di gioia per una carezza… sembra perfino scoppiare quando ti fermi con lei a cantare un inno o una soave canzoncina.

Stare con loro vuol dire vivere la gioia, sperimentare la pace, dimenticare che il mondo è ambiguo, astuto, arrivista… il loro linguaggio è quello immediato dei “sì sì, no, no. Ció che va oltre questo proviene dal maligno”. È il linguaggio dell’amore, è la relazione che si basa sull’affetto, sullo sguardo, sull’ accoglienza. È credere cha sei figlio di Dio, amato da Lui, scelto da Lui e dal Padre per portare la croce con Gesù. Come capisco allora le espressioni di Padre Cottolengo: “Se sapeste chi sono i poveri, li servireste in ginocchio”!

Per questo non so come esprimere la mia gratitudine al Padre buono e provvidente per avermi chiamato e voluto qui, nel Cottolengo per condividere la vita dei poveri più poveri, gli handicappati, coloro che sono più vicini a Gesù sofferente.

Nonostante tutto la vita é bella perché è dono del Padre. Cerco sempre di donare gioia, fare loro realizzare piccoli e geniali lavoretti che li gratifichino, rallegrando con il canto e la musica le ore che passano con me e le funzioni religiose che sono animate dal loro diretto apporto. Se li vedeste come prorompono in canti nella chiesa grande durante le Sante Messe animate da loro! Sì, pregano con tutto il loro cuore e con l’espressione della loro persona! Siamo una buona squadra di sacerdoti, religiose, religiosi. volontari ed impiegati e vogliamo creare un ambiente adatto per tirare fuori da queste persone tutte le loro capacità e che giungano a realizzarsi il più possibile, sia nell’aspetto fisico sia artistico e tanto più in quello spirituale!

Dio vi benedica e ci aiuti a realizzare nel nostro tempo ciò che Egli vuole per i nostri fratelli che soffrono. Deo gratis!

 ==============================

Carmela Zoccali:

… Io mi racconto…

Un bimbo piange. La Madre di Gesù ascolta.

L’epilogo di una domenica di novembre, dentro una parrocchia nel cuore di Roma, in quello della gente, scolpito nel mio.

L’omelia di Padre Angelo e di Padre Gottardo.

L’andirivieni di persone,… bambini anche, gruppetti di rom nel cortile, vestiti di colori sgargianti e poco abbinati.

Il sole, che scalda la mia giacca di lana nera, si riflette e si posa sulla coroncina della mia “PICCOLA PRINCIPESSA”.

Una ragazzina mi chiama per nome, vuole una dedica, stringe il libro tra le mani, così mi porta a casa sua.

Una coppia mi si avvicina, mi chiedono di scrivere sulla loro copia la prima cosa che mi viene in mente: ” VIVA L’AMORE!” “VIVA LA VITA!” Sorride l’uomo. Davanti ad un altare mi racconto, porto una testimonianza: il mio sponsor, Padre Angelo, devota figura che da anni cura la mia anima e quella di tante persone che come me vivono ai margini della vita e della società.

M’introduce con alcuni dei miei motivi per vivere. Mi fa sorridere quando elenca anche quello che dice: “Voglio vivere per indossare un collant sexy”…

Siamo in chiesa, Padre Angelo!

Ma è la sua spontaneità che conquista me e tutti i parrocchiani che attenti ascoltano, commossi. Non sto dando una testimonianza di Carmela. Sono la testimonial di una patologia, di un virus. Una bella donna, sottolinea Padre Angelo, la cui malattia non è riuscita a scalfire più di tanto il suo bell’aspetto…

Medito su quelle parole, gli occhi mi si spengono, diventano lucidi, ma non piango, non devo, sono forte… La voglio trasmettere la forza. Ci riesco. La poesia che esprime i disagi dei malati di A.I.D.S. sottolinea anche il coraggio che a noi compete.

L’applauso è sincero.

Mi siedo e riprendo a pregare, poi faccio la comunione, questa volta proprio “in comunione” con persone che non mi fanno sentire marchiata, che trovano nei miei errori il bello della mia gioia di vivere. Basta questo. Questo poco o forse niente, a farmi sentire la solidarietà anche di Dio, che come gli altri mi sta ascoltando e guidando. SIAMO TUTTI UGUALI! Sono una pedina anch’io, un fante, una torre, una regina, che ha sbagliato troppe mosse sulla scacchiera della vita. “PERDONO, DOLCE MADRE” canta Padre Gottardo, e anche io senza musica. (Significativi i testi delle sue canzoni e appropriati): “Tu che vedi e tutto sai, dolce Madre quale sei …è nel nome dell’amore che ti affido il mio dolore… Se i miei occhi son bagnati, sono lacrime d’amore… io ti chiedo di asciugarli come fosse il tuo Signore… stringi forte le mie mani e accarezza il mio viso… finché mi addormento piano dolce Madre con il tuo sorriso… Tu che vedi e tutto sai, dolce Madre quale sei, è nel nome dell’amore che ti affido il mio dolore…” Che svanisce davanti al pianto dirotto di un bambino… la mamma si è allontanata lasciandolo momentaneamente solo… gli corro incontro: rivedo mio figlio piccolo, e la disperazione che provano i bambini quando vedono la madre allontanarsi. Lo accarezzo, lo abbraccio, forse un regalo potrebbe consolarlo… un giocattolo, un lecca-lecca…NO! “Gli regalo gli occhi miei, i capelli, il mio sorriso, le mie mani, il mio respiro … la mia VITA gli regalo, così lui scoprirà cos’è l’amore!” I FIGLI HANNO BISOGNO ANCHE DEL CONTATTO FISICO CON LA PROPRIA MADRE! …Lo prendo in braccio…

Carmela

Roma 29/11/2006

==============================

Sr Luisa Busato:

Essere amore nella Famiglia del Cottolengo di sr. Luisa Busato suora cottolenghina L’impegno quotidiano dell’amore reciproco vissuto insieme con persone con una disabilità di base psichica. “Il mondo dell’umana sofferenza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo: quello dell’amore umano; e quell’amore disinteressato, che si desta nel suo cuore e nelle sue opere, l’uomo lo deve in un certo senso alla sofferenza”, così si esprimeva Giovanni Paolo II. Non potevo ancora conoscere queste parole, al tempo in cui l’abisso del non-senso appariva nero, sullo sfondo dei miei giorni, e il velo dell’apatìa copriva e soffocava l’entusiasmo e la spensieratezza dei miei giovani anni. Era la sofferenza di vivere senza dare risposta al “per Chi” potevo esistere e al “perché” poteva avere senso alzarmi almattino, andare al lavoro, impegnarmi per gli altri. Dentro quei momenti tristi e dolorosi, l’urlo silenzioso che mi saliva dal profondo è stato ascoltato proprio là, in quel luogo doloroso e meraviglioso che è il “Cottolengo”. Rimasi sorpresa e stupita quando mi accorsi che le persone residenti in quella Casa, segnate dalla fragilità e dalla debolezza, diventavano per me la mano tesa, lo sguardo accogliente, il sorriso che mi regalava nuova vita. Potenza dell’Amore che, spesso, è pensato solamente come la possibilità di chi, avendo forze, energie, risorse, va verso chi è in difficoltà. Potenza disarmante dell’Amore che si spande, invece, discreto, proprio dalla fragilità, dal mondo della debolezza, della piccolezza e, mentre si rivela, scopre gli abissi dell’anima, li denuda per raccoglierli poi in uno sguardo che attende relazione, amicizia, dono. È uno sguardo che apre, chiama e avvicina: si fida e si affida. Una scelta d’amore Ormai da 25 anni, come consacrata a Dio nel servizio ai poveri, appartengo alla FamigliaCottolenghina: sono fiera oltre che felice di far parte di questa realtà carismatica. Penso sempre che anch’io ho trovato casa qui, sotto le ali della Divina Provvidenza. Da quando è nata, questa Piccola Casa della Divina Provvidenza ha sempre avuto le porte aperte primariamente “a chi non aveva persona che pensasse a lui”, secondo il desiderio di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, suo fondatore, o “manovale” della Divina Provvidenza, come amava definirsi lui stesso. In Italia come in Europa, in Africa come in India o nel Sudamerica, dovunque, “noi siamo qui per amare unicamente Iddio e dargli gusto in ogni cosa”, riconoscendo nei più poveri l’immagine viva di Gesù e servendo “con la massima espansione di carità, tenerezza e di zelo”. Una Casa, una familiarità semplice, un cuore che pulsa perché la vita sia protetta. Ci sta a cuore la vita. Quando sono arrivata alla Piccola Casa nei miei vent’anni carichi di energia, ho visto che la vita era amata, rispettata, protetta, promossa e ad una fragilità e debolezza più grande si rispondeva con maggior cura e attenzione. Quando ho incontrato le sorelle e i fratelli cottolenghini religiosi o laici, sani o in difficoltà, ho sentito che con loro avrei conosciuto più profondamente l’Amore e avrei potuto amare. E mentre sentivo l’impetuoso torrente dei miei pensieri, sentimenti ed emozioni che correva libero nel felice desiderio di regalare l’acqua fresca della mia giovinezza, il cuore batteva di gioia all’ascolto della Parola di Gesù, una Parola piena di umanità, di forza, di tenerezza: “voi siete il sale della terra (…) voi siete la luce del mondo” (Mt5, 13-14); “non temere piccolo gregge”(Lc 12,32). Così, sempre più forte, è stato il desiderio di condividere, tutto, anche la vita. Sì, quando ho incontrato le sorelle e i fratelli cottolenghini religiosi o laici, sani o in difficoltà, ho sentito che con loro avrei conosciuto più profondamente l’Amore e avrei potuto amare; avrei potuto vivere pienamente la mia vita bevendo alla stessa Fonte e imparando a dare senso a ogni piccolo gesto e a ogni attimo presente. Collaborazione attiva e appassionata Attualmente vivo nella Piccola Casa della Divina Provvidenza a Torino nella famiglia chiamata SS. Innocenti che ospita dieci piccoli nuclei abitativi.

La casa accoglie persone con una disabilità di base psichica: dai lievi ai gravi. Nella famiglia è inserita la comunità di sorelle di cui faccio parte: insieme ci sosteniamo, incoraggiamo e ci aiutiamo, perché ciascuna possa offrire il suo servizio che, oggi, per me è di coordinamento all’interno dell’equipe educativa. Nell’assistenza diretta alla persona noi religiose siamo coadiuvate da personale laico che, nel rispetto di ruoli e competenze, collabora per una miglior qualità di vita degli ospiti. Penso che l’ingresso massiccio, da qualche anno a questa parte, di personale laico sia uno dei “mille modi di provvedere della Divina Provvidenza” di cui era convinto il Cottolengo: spetta a noi ricercare vie possibili per una collaborazione attiva e appassionata. Vedo quanto bisogno emerga, da parte degli operatori e operatrici, di un rapporto caldo e fiducioso che non precluda la via al servizio, dove competenza e senso di responsabilità non vengano elusi e dove, nello stesso tempo, non venga a mancare quel calore umano che caratterizza le relazioni più vere e profonde. D’altra parte come pure ci ricorda Papa Benedetto XVI: “La competenza professionale è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore”. Quando l’operatrice E. mi chiama perché si accorge che G. è triste, io la ringrazio perché mi accorgo che è attenta, che le sta a cuore, si preoccupa per lei, e insieme cerchiamo di capire cosa possiamo fare. L’amore è fatto di piccole sfumature che lasciano il sapore della gioia che nessuno d potrà mai rubare. Le giornate, apparentemente tutte uguali, sono cariche di quella novità che appartienealle miriadi di possibilità e risorse che ciascuno possiede e che, con pazienza, osservazione e intuito possono emergere ed essere sostenute e valorizzate. Le attività creative proprie dei laboratori artistici, ne offrono molte occasioni. Com’è bello vedere quei “getti di colore” che escono dai pennelli e, prima ancora, dal misterioso mondo delle sensazioni ed emozioni che una persona con disabilita grave vuoi esprimere: spruzzi di gioia? Pennellate di affetto? Vie verso il cielo? Raggi di sole? Il percorso dell’ampio corridoio della casa tra quei quadri “unici” d’autore, sembra il passaggio in una galleria d’arte. Aiutare la persona Grazie all’elaborazione di Progetti Individuali cerchiamo insieme, lavorando in sinergia tra le diverse figure professionali e avvalendoci dell’interdisciplinarietà, d’intravedere obiettivi raggiungibili che aiutino la persona a stare bene con se stessa, con le persone con le quali vive e con l’ambiente circostante, mediante strumenti, attività e modalità relazionali pensate appositamente. In questo lavoro, conoscere più da vicino le storie di vita delle persone che abitano nella nostra “famiglia”, ci aiuta a comprendere meglio la loro situazione: dentro “voragini affettive”, bisogni inespressi, dentro aggressività latenti o esplosioni di rabbia, impariamo ad avvicinarci a loro con l’attenzione che si fa rispetto e riguardo per ciascuno. Riguardo, cioè quel rispondere allo sguardo della persona con uno sguardo che l’accoglie incondizionatamente e che le dice, ancor prima della parola stessa: “Ti voglio bene”, “Voglio che tu ci sia”. Rispondere allo sguardo della persona con uno sguardo che l’accoglie incondizionatamente e che le dice, ancor prima della parola stessa: “Ti voglio bene”, “Voglio che tu ci sia”. Penso a G. e alla sua difficoltà di gestire la gelosia e l’ira: nel momento della difficoltà ha bisogno di uno sguardo colmo di pazienza, di amore, di forza e tenerezza che le dica: “Coraggio, ti capisco nella tua estrema difficoltà. Non avere paura. Ce la puoi fare”. Passa la bufera e quel “Acie” (grazie) espresso con fatica dice la bellezza di una relazione che sa di affidamento, di protezione, d’incoraggiamento e di vita. Anch’io ho bisogno, nelle mille emozioni di ogni giorno, di sentire che qualcuno mi accoglie sempre, comunque, senza condizioni: so che Gesù fa questo con me. So che Gesù fa questo con ciascuno di noi. Tanto più conosco l’amore di Gesù e la sua splendida umanità, riflesso della sua divinità, tanto più desidero assomigliargli e tanto più desidero farlo conoscere. Non di solo pane vive l’uomo Nello scorrere dei giorni cerchiamo di porre attenzione ai bisogni primari delle persone che riguardano la cura di ciascuno: “Non è tutto dare il pane o la minestra”, dirà san Vincenzo alla sua novizia, ma è il “come si da”, che fa la differenza. A. rifiuta qualche volta il cibo. Noi però la conosciamo e sappiamo che, se riusciamo a rassicurarla che quel cibo le fa bene e che in questo modo potrà continuare a fare le attivitàche le piacciono tanto, come la piscina, allora lei mangia tranquilla. Ogni giorno è un giorno nuovo e unico e, particolarmente per la persona con disabilitàpsichica che vive il presente, c’è bisogno di ridare continuamente sicurezza, qui e ora. Ci sono bisogni materiali, ma ci sono anche bisogni che abbracciano la sfera affettiva: quando F. porta la mano all’orecchio, e pronuncia la parola “vavà” (papà), da voce al suo desiderio di telefonargli e quando lo sente, il sorriso e il battito delle mani sono chiare manifestazioni di una gioia piena, colma. E ci sono i bisogni immateriali, quelli che riguardano “l’Oltre”, ciò che non avrà mai fine, nemmeno con la morte. L’attenzione a questo bisogno-desiderio è molto alta qui, nella nostra famiglia: esprime l’intenzione di fedeltà a un carisma che vuole l’attenzione alla trasmissione del messaggio evangelico tanto quanto l’attenzione al pane quotidiano. Il primo pane è Gesù Eucarstia: “Da Gesù ha da venire la forza per sostenervi nella vita“; in Lui abbiamo la vita nella sua Provvidenza Egli non ci fa mancare il necessario per vivere. Penso che sarebbe bello se anche la mia vita, colma dell’olio dell’amore, risplendesse per rivelare e raccontare la certezza della Presenza che salva, solleva, rincuora, non ci lascia mai soli. Come una lampada accesa Se il ricordo di Gesù vive nei diversi momenti della giornata, c’è però il tempo splendido dedicato alla catechesi dove siamo lì, insieme, per conoscere Gesù, aprire a Lui il nostro cuore, ringraziarlo, imparare da Lui ad amarci l’un l’altro. La preghiera è sicuramente l’espressione dell’affidamento a Colui che ci è caro, che ci conosce, ci capisce, “che più pensa Egli a noi, di quanto noi stessi pensiamo a Lui”, che ci da lacertezza della vita e della felicità che non avrà mai fine. Quando, durante i tempi dedicati alla preghiera quotidiana e specialmente nel silenzio della sera, mi fermo nella piccola cappellina alla presenza di Gesù, lo sguardo cade spesso sulla lampada accesa: arde silenziosa e richiama la presenza di Dio: Lo rivela consumandosi. Penso che sarebbe bello se anche la mia vita, colma dell’olio dell’amore, risplendesse per rivelare e raccontare la certezza della Presenza che salva, solleva, rincuora, non ci lascia mai soli. Nei giorni di Natale abbiamo ricevuto la notizia della morte di un nostro carissimo amico e volontario che aveva nei confronti di C. degli accenti di grande tenerezza: ballavano insieme quando veniva da noi.

C. sa che A. non tornerà più a trovarci, diventa triste, ma congiunge le mani e dice: “Non torna più? Mi dispiacetanto. Prego per lui; è con Gesù”. Mentre scrivo rivedo il suo volto, il suo sorriso dolce e penso alle centinaia di giovani o adulti che, con grande impegno e dedizione amorevole, vengono per regalare prima ancora che il loro tempo o le loro energie, loro stessi. Tutti i volontari sono sempre tanto attesi e amati. Il Papa ha per loro parole di apprezzamento: ”Tale impegno costituisce per i giovani una scuola di vita che educa alla solidarietà e alla disponibilità a dare non semplicemente qualcosa, ma se stessi. All’anti-cultura della morte, che si esprime per esempio nella droga, si contrappone così l’amore che non cerca se stesso, ma che, proprio nella disponibilità a ‘perdere se stesso’ per l’altro, si rivela come cultura di vita” Quando ho letto le parole di Benedetto XVI ho capito con maggior forza che “non è più tempo di perdere tempo” in sterili scoraggiamenti, ma di ricominciare ogni giorno ad amare. Un amore sempre più grande L’esperienza del quotidiano spesso è segnata da fatiche e difficoltà di vario genere: non è raro provare scoraggiamento quando, nonostante l’impegno nel bene, sembra che le sacche di povertà si dilatino sempre più e i poveri diventino sempre più poveri, soli e dimenticati. Quando ho letto le parole di Benedetto XVI ho capito con maggior forza che “non è più tempo di perdere tempo” in sterili scoraggiamenti, ma di ricominciare ogni giorno, ad amare poiché ciascuno “è uno strumento nelle mani del Signore in umiltàfarà quello che gli è possibile fare e affiderà il resto al Signore”. La vicinanza ai fratelli e alle sorelle più fragili e delicati mi aiuta, giorno dopo giorno, ad accettare me stessa nel dono che sono e nei limiti che ho, a esercitarmi in una relazione che matura nella pazienza e nell’amorevolezza. La bellezza della sponsalità, del mio essere sposa di Colui che mi ha scelto per stringermi a sé in un dono fedele, illumina l’anima e mi spinge astare con Lui, dove Lui mi vuole: qui in questa famiglia sento che il mio senso materno si può esprimere in atteggiamenti e comportamenti che lo dilatano. Sento e gioisco del mio essere “sposa, sorella e madre” e nutro una gratitudine senza confini nel vivere con questi miei fratelli e sorelle: sono loro stessi che accolgono me ogni giorno con tutto il cuore. Sentono che voglio loro bene. E io sento che mi vogliono bene. Insieme ci ricordiamo che Gesù ci ama per primo e sempre più di noi. Viviamo sicuri sotto il Suo sguardo. Se questa oggi è la mia esperienza, credo di poter dire comunque che, pur tra le tante debolezze e i tanti limiti, dovunque opera un consacrato o una consacrata del Cottolengo, c’è un desiderio che prende forma: quello di dar lode alla Divina Provvidenza e di essereprovvidenza per ogni fratello e sorella che s’incontra. Dove c’è un consacrato o una consacrata del Cottolengo, c’è il desiderio di uno sguardo che si illumina e si apre all’accoglienza e alla bontà, alla gioia di vivere e a quella“allegria che non ha mai guastato la santità” come diceva il Cottolengo, e “ Santi sono i più contenti di tutti!”.Dove c’è un consacrato o una consacrata del Cottolengo c’è il desiderio di essere attenti a promuovere la dignità che, indelebile, appartiene a ogni persona umana e fa di questa un prezioso tesoro, un capolavoro d’amore per l’intera umanità. È il desiderio di quella Carità che ancora ci spinge ad alzare la vela della vita affinchè il vento dello Spirito ci sospinga verso i fratelli e, insieme a essi, possiamo un giorno approdare sulle rive familiari dell’Infinito Amore.

==============================

Gianni:

“Buonasera, per prima cosa vorrei ringraziare coloro che mi hanno reso partecipe di questo importante appuntamento finalizzato alla Ricerca e mi sento onorato di condividere con tutti voi un evento ed un fine così importante.
Non sono né un ricercatore né un medico, ma ho conosciuto il Cancro in prima persona un anno fa.
Cancro, una parola che questa sera ricorrerà spesso soprattutto dal punto di vista scientifico.
Io, non sono qui per parlarne in questi termini, ma sono qui per testimoniare il mio incontro con la vita attraverso qualcosa che giustamente evoca sofferenza e angoscia al solo sentirlo nominare.
Mi rendo conto che quanto dirò, a molti potrà destare perplessità e scetticismo, eppure io considero questo cancro, questo brutto cancro chiamato Glioblastoma, il dono e la Grazia più grande che la vita e il Signore potessero mai concedermi.
Ed è di questo che vorrei parlarvi.
Vorrei parlare a quanti sono nella sofferenza,a quanti sono distanti dalla fede,come a quanti ne sono vicini, dell’importanza e dell’indispensabilità di vivere insieme al Nostro Signore la sofferenza e la malattia. Fare entrare Dio nella tua vita, abbassando le barriere e i muri che purtroppo sempre più spesso solleviamo,conseguenze di una vita e di una società sempre più lontana dalla Spiritualità,fare entrare Dio nelle nostre vite è la sola cosa che può farci vincere la malattia.
Quando mi dissero la diagnosi,quando con molta disinvoltura mi diedero questa notizia,non provai né angoscia, né rabbia, né disperazione,tutte emozioni più che legittime dal punto di vista umano, ma venni investito da una grande pace,da una serenità mai provata prima che non era frutto né del mio carattere né di un tentativo disperato di accettare l’infausta diagnosi: Glioblastoma al cervello. Non cercai di essere ottimista reagendo con carattere a quanto stava accadendo e alla vita che improvvisamente stava cambiando, né cercai un Dio a uso e consumo nella speranza che si ricordasse di me ascoltando la mia preghiera, figlia della necessità di chiedere un’eccezione per me e di risparmiarmi dalla sofferenza e di concedermi la guarigione,come spesso umanamente accade. Ero perfettamente consapevole della gravità del mio Tumore,ero consapevole di come in poche ore la mia vita si stava trasformando e di come progetti, ambizioni, desideri e speranze, stessero diventando utopie. Eppure il mio stato d’animo continuava a non conoscere né angoscia, né timore, né malinconia.  All’improvviso una mattina passeggiando nella corsia del reparto,capii.
Cristo mi stava Donando la guarigione, ma non quella che tutti siamo portati a pensare e ad aspettarci come segno della Sua esistenza,la guarigione dalla malattia,ma mi stava donando qualcosa di molto più importante. Stava guarendo la mia anima facendomi sentire la Sua presenza, la sua potenza il Suo Spirito e tutto il Suo amore, prendendomi letteralmente in braccio sollevando me, le mie umane paure e la mia Croce con le Sue braccia e con il Suo amore. E in quel momento ho capito che la Guarigione non è solo ciò che siamo portati a intendere ovvero la guarigione dalla malattia,il nostro corpo è un contenitore che ci accompagna durante questo viaggio,ma come tutti sappiamo è destinato con il tempo attraverso le malattia o anche solo attraverso il trascorrere degli anni,a deteriorarsi e a e logorarsi, ma la nostra Anima no.
Eppure in pochi pensiamo a questo, pochi nel vivere il nostro tempo, le nostre giornate, pensano a curare e a preservare la nostra anima dal pericolo di dimenticarci dell’ indispensabilità della presenza di Dio nella nostra vita. Vi siete mai chiesti perche quanti posseggono tutto,dall’amore della propria famiglia,dei propri figli,della propria moglie o marito,quanti hanno un lavoro,un’ottima posizione economica,una bella casa una bell’automobile e soprattutto hanno il Dono di essere in salute,arriva prima o poi,il momento in cui si sentono insoddisfatti, il momento in cui cercano altrove qualcosa che possa dargli quell’appagamento o quella pienezza che pur avendo tutto, non li rende né sereni né felici. A tutti coloro che si rivedono in questa descrizione è mai venuto anche il solo dubbio che forse ciò che omettevano dalla loro vita era proprio la presenza di Spiritualità e di Dio e che fin quando sarà cosi mai potranno trovare la chiusura del cerchio nella loro vita,
Non è certo Dio che vuole la nostra sofferenza, né il nostro dolore. Non è certo Dio che ci manda un cancro né una disgrazia. In questa vita, ma solo in questa vita, esiste il bene come esiste il male e da sempre il male vuole farci dubitare della presenza di Dio. Vuole renderci scettici, dubbiosi, increduli e fragili. Il suo scopo è rubare anime al Signore, soprattutto oggi, che viviamo in una società e in un mondo sempre più lontano da Dio, pieno di inganni, di false priorità e di slogan inutili, ai quali ci siamo talmente abituati da esser diventati spesso il nostro modo di vivere e di concepire la vita. Ma se lasciamo entrare Dio nella nostra vita, nella nostra famiglia, nel nostro lavoro e nella nostra sofferenza, sé lasciamo che Lui operi in noi, fidandoci di Lui, allora tutto cambia.
Anche un cancro, anche una sofferenza può trasformarsi in una Grazia e in una vita nuova. Sé oggi qualcuno mi proponesse un baratto che mi garantisse di non dover più convivere con questa malattia, né con le terapie e con tutti i dubbi sul mio domani, a patto di dimenticare il mio incontro con Dio, gli direi un deciso no grazie!
Aver toccato con mano la presenza del Signore nella mia vita, è il dono più grande che la vita potesse offrirmi e poco conta sé tutto questo passa e passerà attraverso la malattia e comunque andrà, il cancro e il male avranno perso la loro battaglia, perché comunque avrà vinto la vita e la fede.
Il Signore conosce ognuno di noi e si serve di ciascuno di noi, ma solo sé noi stessi glielo permettiamo, aprendogli la porta del nostro cuore.
Qui questa sera e posso testimoniarlo,ci sono persone straordinarie, che hanno fatto della loro professione,una vera e propria missione, mettendo la loro esperienza, il loro tempo, il loro sacrificio e la loro conoscenza con umiltà al servizio di chi soffre.
La ricerca è portata avanti da queste persone, da persone delle quali Dio si serve come strumenti
nelle Sue mani, cosi come nel mio caso ha guidato le mani di chi con maestria e con eccellenza chirurgica mi ha operato.
Che Dio vi benedica tutti e accompagni ogni vostro gesto quotidiano e ogni vostro intento.
Grazie.”.

==============================

La misericordia nella mia vita:

“Dio mi ha donato, sin dalla nascita il Suo Infinito Amore ma distratto da altro lo avevo perso di vista, fino ad arrivare al quasi totale smarrimento. La Grande Misericordia Divina non ha permesso che i Talenti che mi ha donato, potessero cosi smarrirsi. Il giorno del mio 41° compleanno, esattamente due anni fa, si è manifestata: una frase è entrata nel mio cuore e la mia vita è cambiata. Dentro di me sono rifioriti sentimenti che si erano rinsecchiti, mi ha fatto e mi fa bere giornalmente “l’Acqua Viva” e nel mio cuore è rinata la possibilità di affidarmi totalmente a Lui “Jezu Ufam Tobie”, Gesù Confido in Te. Ogni giorno Lo prego, Lo adoro e Lo acclamo. Ogni giorno mi dà una missione, ogni giorno mi insegna ad abbracciare la mia Croce, mi fa gustare la Preghiera. Grazie, Signore Gesù.
Ogni mattina mi sveglio, ringrazio il Signore e sorgono delle domande: come mi pongo con il mio prossimo? ricerco l’umilà? sono caritatevole? sono disposto a spendere il mio tempo per gli altri, senza un secondo fine? vedo in chi mi sta accanto una opportunità di gioia? Prima, tutto questo non c’era, perche adesso, e giornalmente, si aprono questi pensieri? Vi sono dei momenti della giornata, dove incontro persone, anche al lavoro con i clienti, in cui guardo i loro occhi, ed inizio a parlare di Gesù. E succede qualcosa: cambia la luce degli occhi, cambia l’attenzione. Taluni si compiacciono
e gioiscono, nella loro semplicità e nel loro silenzio si racchiude una grande Fede; altri hanno un atteggiamento di meraviglia, come di riscoperta di un qualcosa che già avevano dentro; tanti altri mi dicono di credere in Dio a modo proprio ma puntano il dito sulla Chiesa. Molte volte, vi è una concezione di giustizia guidata dalla razionialità, pronta a risolvere il problema puntando il dito; ed io dò la mia testimonianza, cerco di spiegare che come puntavo il dito io ve ne erano veramente pochi, eppure la Misericordia Divina plasma i cuori e li rende pulsanti di gioia. Ecco, Signore, mi metto nelle Tue mani: non i miei pensieri, non la mia volontà. Guidami Tu, rendimi tuo servo! Quante volte mi riprometto e poi ricado nel peccato, dammi la forza, o Signore, di chiederti perdono.
Concedimi, Signore, il dono dell’umiltà e donami la gioia, per poterla a mia volta rendere in dono agli altri. Signore Gesù, insegnami a pormi verso gli altri con cuore aperto; insegnami a chiedere col cuore; insegnami a cercare, non solo con gli occhi ma col cuore; fammi bussare col cuore alla Tua Porta, Signore! Fà che possa diventare terra buona per Il Tuo Buon Seme. Lode e Gloria a Te, Signore Gesù, nei secoli dei secoli Amen.”.

Salvatore Trupia (Favara)